Nell'ambito dell'approvazione del quadro energetico al 2030 ecco un interessante articolo di Monica Frassoni pubblicato sull'Huffington Post che riporto integralmente. L'Articolo parla del rapporto problematico che i vertici Europei hanno con le nuove tecnologie Low Carbon (Energie Rinnovabili) e in particolare Renzi. L'Italia in particolare, che avrebbe un potenziale enorme in tema di Energie Rinnovabili, Risparmio Energetico mentre Renzi ondeggia e parla di hub del gas e di nuovi tubi e trivelle, trascurando l'efficienza energetica e le rinnovabili, che negli ultimi anni avevano dato tanto lavoro anche e soprattutto ai giovani.
- L'Italia importa l'82% del suo fabbisogno energetico, mentre la media europea è pari al 55%; nel 2012, la spesa per le importazioni di gas e petrolio è stata di 57,9 miliardi di euro.
- L'Italia ha prezzi dell'energia mediamente superiori ai concorrenti europei, e ancor più rispetto ad altri Paesi come gli Stati Uniti. In questa situazione, la riduzione della dipendenza energetica dell'Italia passa attraverso una scelta strategica a favore dell'efficienza.
• mobilitare circa 130 miliardi di euro di investimenti;
• aumentare la produzione industriale diretta e indiretta di 238,4 miliardi di euro e un crescita occupazionale di circa 1,6 milioni di unità di lavoro standard;
• incrementare il Pil medio dello 0,6% annuo e, considerando anche gli effetti netti sulla fiscalità, il beneficio netto collettivo sarebbe potenzialmente superiore a 1,5 miliardi di euro l'anno.
Ecco l'articolo integrale di Monica Frassoni come apparso sull'Huffington Post.
Come tutto ha avuto inizio:
Gennaio 2014 - Proposta della Commissione. Il Presidente Barroso, i commissari Hedegaard e Oettinger presentano la "Comunicazione per una politica per il Clima e l'Energia nel periodo 2020-2030". La Commissione europea propone entro il 2030: taglio del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990), ripartendo tra i diversi Stati membri la percentuale da ridurre sulla base di alcuni criteri; almeno il 27% del consumo di energia dal rinnovabile, questa volta non obbligatorio a livello a livello nazionale, ma 'a livello europeo'; quanto all'Efficienza Energetica (EE) ogni decisione è rinviata all'estate. In pratica, la Commissione rinuncia a continuare la trasformazione 'low carbon' del nostro sistema energetico, iniziato nel 2007.
Dietro il modesto obiettivo del 40% c'è un obbligo di poco maggiore al 'business as usual'; dietro il bassissimo e non vincolante (a livello nazionale) target per le rinnovabili c'è la volontà di continuare a frenare lo straordinario sviluppo di fonti energetiche che nel corso di pochi anni hanno ridotto il loro prezzo in modo spettacolare, create centinaia di migliaia di posti di lavoro, ridotto le importazioni energetiche e le nostre emissioni. Purtroppo, però, sono entrate in diretta concorrenza con i produttori di gas e stanno rendendo molto meno redditizi gli investimenti fatti in anni passati in troppe centrali, che oggi vanno a scartamento ridotto, un po' per la crisi e spesso per le rinnovabili. Logico che passino al contrattacco, forti anche della debolezza e dispersione delle imprese green e della grave crisi economica. La proposta della Commissione segnala, insomma, il ritorno in forze della lobby 'fossile': gas, petrolio, carbone, nucleare. E anche della lobby anti-Europea: ogni Stato deve rimanere totalmente sovrano nella scelta del mix energetico. La Commissione Barroso, anche stavolta, ha tenuto fede al suo motto "forte con i deboli, debole con i forti".
Ecco perché non si vogliono target ambiziosi per efficienza energetica e rinnovabili e si mantiene sotto controllo quello delle emissioni Co2. Il Regno Unito vuole finanziare con soldi pubblici il nucleare; la Francia non ha ancora deciso se avviare una lentissima uscita dal tutto atomo (il suo atteggiamento relativamente positivo sul Pacchetto Energia dipende soprattutto dal fatto che vuole evitare a tutti i costi di ripetere il fallimento di Copenhagen, quando nel 2015 dovrà organizzare il Summit sul Clima a Parigi); la Polonia vuole salvare i minatori; l'Italia del giovane Renzi ondeggia e parla di hub del gas e di nuovi tubi e trivelle, trascurando il suo enorme potenziale in materia di efficienza energetica e di rinnovabili (anche in termini di know-how), la Spagna vuole salvare gli interessi di alcune grosse imprese e persone (e il nuovo Commissario all'Energia e Clima Arias Canete ne sa qualcosa); la Germania vuole garantire l'Energiewende, puntando sì sulle rinnovabili, ma affidandosi temporaneamente a più carbone; eccetera.
Febbraio 2014 - Approvata risoluzione Parlamento Europeo. Il PE respinge l'approccio della Commissione e chiede a larga maggioranza target molto più ambiziosi per il 2030: 'almeno' il 40% di riduzione della Co2, il 30% di energia da rinnovabili e il 40% di EE. Obiettivo: rimanere in linea con la riduzione del 80/90% emissioni di gas climalteranti entro il 2050.
Luglio 2014 - Commissione pubblica comunicazione su Efficienza Energetica. La crisi ucraina rilancia la discussione sull'Unione per l'energia (intesa da chi l'ha originariamente proposta, il neo Presidente del Consiglio Donald Tusk, solo come una sorta di acquisto di gruppo del gas per contrastare il potere di interdizione russo) ma anche fa ripensare all'urgenza di diventare molto più 'risparmiosi'. Sulla base di una valutazione di impatto assolutamente manipolata (in pratica investire in efficienza energetica sarebbe più rischioso che comprare petrolio all'Isis!) e dopo furiose discussioni interne che vedono Barroso e la sua Segretaria Generale Catherine Day decisamente contrari, la Commissione decide di proporre un target del 30% al 2030. Modesto. Praticamente significa continuare sulla traiettoria presente, di circa l'1% di miglioramento all'anno, dovuto però per un terzo alla crisi.
È interessante notare che Barroso proponeva un target tra il 25% e il 27%, in pratica un rallentamento rispetto alla situazione attuale. Un vero paradosso. Soprattutto perché secondo gli scenari e i calcoli della Commissione (non pubblicati, ma ottenuti dalla Ong ClientEarth grazie a un accesso agli atti) puntare su un target del 40% di efficienza energetica al 2030 potrebbe garantire un taglio delle importazioni fra il 33% e il 40% di gas e del 18-19% del petrolio. Tanto per fare un esempio chiaro, il modesto obiettivo del 30% otterrebbe 'solo' il 22% di tagli delle importazioni di gas e il 16% di petrolio. E corrisponderebbe a un misero +12% rispetto alla situazione che avremmo nel 2030 senza misure addizionali (business as usual). Quanto alle rinnovabili, è la Commissione stessa che ci spiega, nei documenti presentati in gennaio, che il mito degli incentivi alle rinnovabili come causa prima del costo 'eccessivo' energia sostenuta a gran voce dalla propaganda di BusinessEurope (potente lobby fossile capitanata da Emma Marcegaglia) è falso.
Nonostante eccessi ed errori nel disegno degli incentivi, sono soprattutto le tasse e il costo della materia prima che fanno schizzare il costo dell'energia, come dice un documento della DG Finanze della Commissione UE, quella che partecipa alla Troikae come riafferma un documento di Ecofys, commissionato dalla Commissione stessa secondo il quale il peso degli incentivi ai fossili è di gran lunga maggiore. Ma certe cose meglio non saperle. E così, non sorprende che nel balletto dei numeri, che ha caratterizzato tutti questi mesi di preparazione al Consiglio europeo di giovedì, il Commissario Oettinger abbia voluto togliere dal Libro Bianco di preparazione al Pacchetto Clima ed Energia 2030 un dato molto interessante. In Europa, i sussidi all'energia nel 2012 sono così ripartiti: 30 miliardi di euro alle rinnovabili; 26 ai fossili; 30 al nucleare. I numeri, mi sembra, non hanno bisogno di grandi commenti, anche perché da allora i tagli agli incentivi alle rinnovabili sono stati ancora più netti. Un obiettivo debole e per di più non basato su obblighi chiari ripartiti fra gli Stati membri, rischia di rallentare la corsa all'energia verde: si passerebbe cioè da un aumento del 6,4% all'anno dal 2011 al 2020 a un mero 1,4% all'anno dal 2020 al 2030. Putin e gli sceicchi ringraziano.
A che punto siamo adesso?
Consiglio Europeo Ue, 23 e 24 Ottobre. Arriviamo così alle decisioni da prendere in questa settimana. I broker bruxellesi danno per quasi acquisito un accordo sul target di riduzioni delle emissioni al 40%, ma in questo momento i cosiddetti 'sherpa', emissari diretti dei Capi di Stato e di Governo che hanno partecipato nel corso di vari confessionali al negoziato di questi mesi gestito dal Presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, stanno discutendo su quanto ogni Stato debba fare per partecipare all'obiettivo comune. Saranno certamente ore da gran mercato delle vacche su questa ripartizione anche al Consiglio Europeo e come al solito, quasi sicuramente, finirà a notte fonda. Non è un caso se il punto sul pacchetto Energia è previsto per la sera di Giovedì 23 ottobre!
In bilico invece i target di Rinnovabili ed Efficienza, a causa del tiro incrociato di vari interessi più o meno 'fossili' e dalla volontà di Renzi (che, promesse 'rinnovabili' a parte, non sembra molto interessato al tema) e di Van Rompuy di chiudere con un accordo, anche se non bello, questo importantissimo Pacchetto, anche per essere più o meno pronti per le tappe successive del negoziato Onu sul Clima. Altro tema da tenere d'occhio sono le frasette intorno ai target eventuali: vincolanti o no? Quale autonomia avrà la Commissione europea di Juncker (sulla carta molto più aperta di quella di Barroso) per proporre norme avanzate a valle della decisione del Consiglio?
Un elemento molto importante da tenere in considerazione è il modo attraverso il quale si è scelto di decidere sul pacchetto Clima ed Energia: perché mai un organo non legislativo come il Consiglio Europeo deve essere una sorta di ultima istanza, che per di più decide all'unanimità, su una politica che rientra nelle normali competenze dell'Ue, per la quale Parlamento, Commissione e Consiglio decidono a maggioranza quando legiferano? Si tratta di un'evidente forzatura introdotta nel 2007 nella discussione del famoso pacchetto 20/20/20. Un errore capitale che influenza tutta la discussione. Oggi il Regno Unito, ieri la Polonia domani chissà chi possono in modo abusivo prendere in ostaggio una larga maggioranza di Stati. Se ci fosse un modo di decisione diverso, il risultato sarebbe un altro.
Perché? Sulle rinnovabili, la Germania, la Danimarca, la Grecia e il Lussemburgo sono a favore di un target vincolante al 30%. La Svezia e il Portogallo (unico paese europeo a ridurre la sua dipendenza energetica grazie alle rinnovabili) sono favorevoli al 40%. Regno Unito, Polonia e altri paesi del cosiddetto gruppo Visegrad non sono d'accordo. Gli altri, Italia compresa premono per il minimo indispensabile. Sull'efficienza, 18 paesi, ivi inclusi Germania, Francia, Danimarca, Austria, Belgio, Italia e il nuovo governo Svedese sono favorevoli a un target sull'efficienza del 30% o più alto. Ma non basta, appunto a causa della procedura di decisione, che obbliga all'unanimità, e alla mancanza di determinazione della Presidenza e di altri Stati membri che hanno le posizioni giuste ma non si battono per ottenerle.
Dalle ultimissime notizie dopo la riunione degli sherpa di martedì 20 ottobre, apprendiamo che l'accordo sarebbe ora su un deludentissimo "almeno 27%" con revisione possibile al 2020. Se fosse veramente cosi, significherebbe che la lobby anti-europea inglese e quella fossile hanno ancora una volta avuto ragione dell'interesse europeo e che invece di aumentare il ritmo di 'efficientamento' delle nostre economie lo dovremo rallentare!
Qualche osservazione merita anche il fronte delle 'lobby' industriali che si è venuto profilando (anche se molto tardi) intorno al Pacchetto. Per la prima volta e in modo energico, il fronte industriale europeo si è visibilmente diviso in pro e contro l'agenda climatica. Già al livello Onu sono attivi vari gruppi di industrie interessate ad una reindustrializzazione verde, ma in Europa la divisione fra Business Europe (la Confindustria Europea) e il fronte più o meno unito e coordinato di decine di grosse multinazionali e medie imprese, da Ikea a Siemens, da Philips a Schneider, Unilever e perfino Shell, non era stato mai così visibile e rumoroso e, cosa molto importante, spesso ha lavorato all'unisono con Ong e think tanks ambientalisti. Una novità importante visto che, che ci piaccia o no, é solo da un'alleanza fra il business più innovativo e le forze sociali e politiche più 'verdi' che potrà davvero venire il cambiamento.
E l'Italia? Con nostro grande disappunto, il nostro energetico Primo Ministro non si è per nulla interessato al versante Clima/Energia del Summit di ottobre, pur avendo l'Italia la Presidenza di turno. Anzi le sue dichiarazioni pro-trivelle, pro-South Stream, pro-gas non annunciano nulla di buono. Il lavoro dei negoziatori italiani, stretti dal coordinamento e dal metodo Van Rompuy non è emerso gran che; il dibattito in Italia è stato nullo e anche questo ha avuto un impatto sull'atteggiamento sostanzialmente eco-indifferente del governo italiano, pur se, trascinati dalla Germania, non seguiremo come si era temuto in un primo tempo le posizioni retrograde di Confindustria. Questa inerzia è un errore capitale a nostro avviso. Perché se Renzi si fosse 'innamorato' dell'agenda Res/Efficienza energetica avrebbe dato un aiuto considerevole alla ripresa economica del paese: perché la transizione verso un'energia pulita è anche e soprattutto una grande sfida industriale. Nel 2011, la Commissione Ue ha calcolato che si potrebbero creare altri 3 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2020, e che si potrebbe arrivare a 6 milioni entro il 2050 se arrivasse all'uscita dalla dipendenza dai fossili (rinnovabili/efficienza).
Vediamo con qualche numero perché Renzi e il suo governo stanno perdendo una grande occasione.
- L'Italia è la seconda 'green' economy europea. Settori che si stanno difendendo dalla crisi senza particolari aiuti, anzi, per ciò che riguarda le rinnovabili in un ambiente di ostilità crescente da parte dei media e del governo.- L'Italia importa l'82% del suo fabbisogno energetico, mentre la media europea è pari al 55%; nel 2012, la spesa per le importazioni di gas e petrolio è stata di 57,9 miliardi di euro.
- L'Italia ha prezzi dell'energia mediamente superiori ai concorrenti europei, e ancor più rispetto ad altri Paesi come gli Stati Uniti. In questa situazione, la riduzione della dipendenza energetica dell'Italia passa attraverso una scelta strategica a favore dell'efficienza.
Ma l'Italia non parte da zero. Il sistema energetico del paese fa leva su importanti punti di forza, eppure i dati della dipendenza da combustibili fossili rendono necessario un quadro normativo e d'investimenti molto più preciso. L'Italia è il primo paese al mondo nella diffusione di sistemi di 'smart-metering' che rappresentano una componente essenziale per la gestione/riduzione dei fabbisogni energetici (demand-side management); L'Italia è stata fra i primi paesi europei a sviluppare un mercato di emissione e di scambio di titoli di efficienza energetica, i certificati bianchi, basato su logiche di mercato e di neutralità tecnologica. Nell'ambito delle risorse finanziarie comunitarie che la futura programmazione 2014-2020 mette a disposizione dell'Italia (circa 32 miliardi di euro), circa 7 miliardi, vincolati ad azioni a sostegno della low carbon economy, potrebbero essere allocati per interventi di efficienza energetica. Tuttavia, secondo le ultime previsioni dell'Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano, l'Italia raggiungerà solo 1/3 dell'obiettivo di riduzione potenziale dei consumi energetici da qui al 2020 (297 TWh/ anno) se non si agirà con misure robuste.
Quale è il potenziale per l'Italia di una politica energetica più 'verde'?
• Ottenere un risparmio potenziale al 2020 pari a oltre 86 Mtep di energia fossile che equivale ad oltre 5 miliardi di costo della Co2 evitato e ad una riduzione della bolletta energetica del Paese di oltre €25 miliardi;• mobilitare circa 130 miliardi di euro di investimenti;
• aumentare la produzione industriale diretta e indiretta di 238,4 miliardi di euro e un crescita occupazionale di circa 1,6 milioni di unità di lavoro standard;
• incrementare il Pil medio dello 0,6% annuo e, considerando anche gli effetti netti sulla fiscalità, il beneficio netto collettivo sarebbe potenzialmente superiore a 1,5 miliardi di euro l'anno.
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