La Svolta sulle Energie Rinnovabili da 47 Paesi

Per le Energie Rinnovabili è tempo della svolta, di un leapfrog. Termine americano mutuato dall'equivalente del nostro salto della cavallina, significa balzare direttamente al livello successivo evitando un passaggio intermedio. E' esattamente quello che 47 paesi hanno promesso di voler fare nel campo energetico in una dichiarazione rilasciata in chiusura dei lavori della Cop22 sul clima di Marrakech.

Nazioni tra le più vulnerabili ai cambiamenti climatici, buona parte delle quali fa parte del Climate Vulnerable Forum, che puntano a convertirsi interamente alle fonti pulite, sforzandosi di raggiungere "il 100% di produzione interna di energia rinnovabile il prima possibile". Un impegno che in termini di riduzione delle emissioni e di promozione delle tecnologie green forse non promette di avere grandi impatti, ma che ha un forte valore morale, come ha sottolineato il commissario europeo per il Clima e l'Energia Miguel Arias Canete. "Questi paesi - ha ricordato - stanno già vivendo la terrificante realtà del cambiamento climatico e la loro stessa esistenza è in bilico".

"Non dimentichiamo - ricorda Francesco Ferrante, ex dirigente di Legambiente e fondatore di Greenitalia - dove si è svolta la Cop: un paese africano. Questo ha consentito di evidenziare l'importanza di trovare le risorse per uno sviluppo di quei paesi che non si basi sulle fonti fossili, ma piuttosto su rinnovabili, efficienza e una moderna economia circolare. Sono più di 600 milioni gli africani che non hanno accesso a servizi di energia elettrica degni di tal nome. La sfida è quella di farli uscire da questa povertà energetica (che si accompagna a fame, vita media ridotta, gravi problemi sanitari) puntando su rinnovabili ed efficienza. E la risposta (dei governi - dei paesi ricchi e di quelli poveri - e delle imprese) oltre alle richieste della società civile, a Marrakech è stata unanime: si può fare". 

Un concetto che il capo del gruppo parlamentare per l'energia della Tanzania, Doto Biteko, ha sintetizzato così: "Le energie rinnovabili possono sconfiggere la povertà e migliorare le condizioni di vita delle persone. Accolgo quindi l'impegno della Tanzania ad unirsi agli altri paesi più vulnerabili verso il 100% di energia rinnovabile". "Stiamo sviluppando una trasformazione verso un'energia al 100% rinnovabile, ma vogliamo che altri paesi seguano le nostre orme per evitare l'impatto catastrofico che stiamo vivendo attraverso uragani, inondazioni e siccità", ha aggiunto Mattlan Zackhras, ministro alla presidenza della Repubblica delle Isole Marshall. Una prima risposta a questo appello è arrivata con la scelta dell'Onu di affidare l'organizzazione e la presidenza della prossima Cop23 in programma nel 2017 alle isole Fiji, anche se per ovvi motivi logistici ad ospitare i lavori sarà Bonn.



"E' una grande responsabilità", ha dichiarato il primo ministro delle isole Fiji Frank Bainimarama. "In quanto piccolo stato insulare del Pacifico, abbiamo bisogno di far vedere al mondo i problemi che dobbiamo affrontare", ha proseguito il premier, sottolineando il legame tra sviluppo e cambiamenti climatici. Bainimarama ha invitato quindi il neoeletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che non ha perso occasione per ripetere che ritiene il cambiamento climatico "una bufala", a fare un giro sull'arcipelago e vedere gli effetti dell'innalzamento degli oceani e la devastazione causata dal ciclone Winston.

A catalizzare i lavori di Marrakech, che avevano il compito di iniziare a gettare le basi tecniche e ad individuare gli strumenti economici, formali e normativi necessari a dare sostanza all'Accordo per la riduzione delle emissioni di CO2 stabilito a Parigi, sono stati proprio i timori per l'arrivo alla Casa Bianca di un presidente apertamente ostile alla cooperazione internazionale nella lotta al riscaldamento globale. Se rispetto all'obiettivo di avanzamento dei negoziati gli obiettivi che era lecito ipotizzare alla vigilia sono stati sostanzialmente rispettati, la vera novità positiva emersa dal Marocco è stata la coesione dimostrata dalla comunità internazionale nel voler andare avanti sulla strada tracciata lo scorso anno. Circa 200 nazioni hanno sottoscritto infatti una dichiarazione congiunta per ribadire che la lotta al riscaldamento globale è "un impegno urgente e irreversibile" e sembrano aver trovato nella Cina, che fino a qualche anno fa recitava la parte del cattivo, il loro nuovo leader.

Commenti